Violeta e Simone

Un nome particolare per una sezione della Protezione Civile. Talmente particolare da stimolare curiosità.
Ecco cosa ne è venuto fuori. Se questo è il motivo del nome ne condividiamo appieno i motivi.


Violeta, una storia sbagliata: senza pace neanche da morta.
Ragazza bulgara rapita e portata in Italia per farla prostituire. Si riscatta, fa la volontaria, muore: non può essere seppellita

di Anna Tarquini

E VIOLETA RESTA LI’, prigioniera di quel frigorifero, in una situazione orrenda e paradossale che potrebbe durare anni. Gli amici, uomini grandi e grossi dell’associazione volontari vigili del fuoco in congedo si disperano: «Questa ragazzina ha tribolato tanto e ancora sta tribolando…». Violeta Tomova faceva la volontaria. Capelli neri, occhi brillanti, minuta, sempre pronta, sempre presente. Gli ultimi tre anni di vita vissuti in Italia e a Roma sono stati così. D’estate aiutava le associazioni di volontariato dei vigili a spegnere gli incendi, d’inverno portava da mangiare ai barboni che vivono alla stazione Termini di Roma. Ma prima c’era stato il buio, l’orrore. Una vita sulla strada, obbligata a prostituirsi. E quando l’avevano posto davanti la scelta, ladra o prostituta, lei aveva risposto ladra, perché almeno così poteva sperare di farsi arrestare. Era iniziata a sedici anni. Rubata da casa, fatta arrivare in Italia, e venduta a una famiglia di Rom a Roma. In quel campo, a Tor di Quinto, violentata e riempita di botte, c’è rimasta per quasi due anni. Non poteva uscire, la seguivano passo passo e la costringevano a prostituirsi. Poi le hanno detto: «Fai la ladra». E lei ne era quasi contenta. Durante il primo furto, a Roma, fermò lei una gazzella dei carabinieri: «Arrestatemi…». Ma non venne creduta e prese pure le botte dei Rom. Violeta però aveva ragione: un anno dopo, vicino Anzio, venne arrestata per un altro furto e lì trovò la salvezza. Le manette, il giudice, il tribunale, ancora le manette per gli sfruttatori e poi, finalmente, la casa di accoglienza. la mandarono alla comunità Fiori del deserto, un’associazione che si occupa proprio di queste ragazze schiave costrette alla strada. È qui che conosce Fausto, vigile in congedo, presidente dell’associazione vigili di Fontenuova. Comincia ad aiutarli. «Me la trovavo sempre pronta – dice Fausto – sempre in divisa. Spegneva gli incendi, portava da magiare ai poveri… Noi prepariamo ogni sera quattro, cinquecento pasti per i barboni che vivono alla stazione Termini. Lei c’era sempre, pronta ad aiutare. Ogni tanto lavorava anche come aiuto parrucchiera». Ma il destino le si rivolta contro ancora. Nel settembre scorso, il 27, una data che Fausto purtroppo ricorda molto bene perché è anche quella in cui è morto suo figlio Simone. Simone aiuta anche lui i volontari e conosce Violeta. Una sera escono insieme, lei voleva tanto fare un giro in motocicletta… Si schiantano la notte del 27, contro un palo, a duecento metri da casa. «Abbiamo chiesto in tutti i modi all’ambasciata Bulgara il nulla osta per i funerali. Ma loro dicono che no, bisogna aspettare. Vogliono capire se Violeta aveva parenti, se qualcuno la cerca e la reclama». Non ci sono parenti, lo aveva scoperto già il tribunale di Roma, Violeta non ha nessuno a parte i suoi grandissimi amici che ora vorrebbero seppellirla. Anche se non si può.

Quotidiano l’Unità del 21 ottobre 2007 pubblicato nell’edizione Nazionale (pagina 9) nella sezione “Interni”