Appalti, in Sicilia le leggi sono mafiose o solo malfatte?

di SALVATORE PARLAGRECO

La legge siciliana sugli appalti è sospettata di mafia. Di più, forse è mafiosa dalla testa ai piedi e fa gli interessi di Matteo Messina Denaro, il mitico latitante cui viene attribuito licenza di vita e di morte, minacce truculente e gli affari più lucrosi. Troppo, ma è così che va. Basta evocare il suo nome perché il più banale degli episodi si trasformi in un evento epocale.

Le leggi “mafiose” sono una invenzione siciliana. Bisognerebbe brevettarla. Invece che sospettarla di essere malfatta, di avere fermato metà degli appalti siciliani, contribuendo ai guai dell’Isola in modo significativo, e fare il mea culpa per avere messo al mondo una legislazione sbagliata, la legge regionale sugli appalti – un’altra performance della specialità siciliana – sale sul banco degli imputati e viene bollata come un assist alle cosche.

La prova arriva dal computer di Pietro Funaro, vice presidente dell’Ance, l’associazione delle imprese edili. In un file era segnalata la necessità di “avvicinare” 41 deputati regionali in maniera da aggiustarla convenientemente, o quasi. Un programma vasto, perché una cosa è avvicinare i parlamentari che contano, un’altra è raggiungere la maggioranza dell’Assemblea, obiettivo tradizionalmente ostico perfino alla politica. Ma nel file ci sarebbero i nomi dei deputati regionali da avvicinare, e a Pietro Funaro è stato sequestrato un patrimonio, 25 milioni di euro, perché lo sospettano di fare affari per conto dei boss. Due indizi sufficienti per assegnare alla legge la mala-etichetta.

Il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, ha dichiarato che le gare non possono essere affidate con le norme vigenti, su cui grava il sospetto di essere gradite alla mafia. L’Ance gli ricorda che la legge nasce anche da un emendamento del governo, che la rinnega. Ma il governatore respinge l’accusa, il suo governo, sostiene, non c’entra niente con la legge vigente. E coloro che l’hanno fortemente voluta, i parlamentari del Movimento 5 Stelle, sono fuori dalla grazia di Dio, respingendo il giudizio negativo, avendola rappresentata un toccasana per sbloccare gli appalti delle opere pubbliche nell’Isola.

Il 10 luglio del 2015 l’Assemblea regionale siciliana ha varato una norma che abolisce i massimi ribassi e introduce un sistema di calcolo nuovo sulle offerte anomale. Buone o cattive le intenzioni, il fatto sta che il sistema approvato è così complesso da bloccare tutto, o quasi. Le burocrazie regionali che hanno il compito di spiegarla ed applicarla sono andate in tilt. Il dipartimento regionale “deputato” ha inondato di circolari esplicative le stazioni appaltanti, cioè le pubbliche amministrazioni. Così nessuno ci ha capito più niente, e le opere pubbliche sono rimaste al palo. Invece che semplificare le cose, le hanno ingarbugliate all’inverosimile, e nessuno ci ha capito più niente. Il contesto migliore per pescare nel torbido e per aprire il varco a una serie di contenziosi che potrebbero provocare la paralisi dei lavori pubblici e dare una mazzata definitiva all’economia siciliana.

Siccome è difficile recitare il mea culpa, mentre è straordinariamente facile metterci la mafia di mezzo, che giustifica tutto ed il suo contrario, viene confezionato un movente che regala alla Sicilia l’ennesima primogenitura, la legge mafiosa. L’Ance, bacchettata per quel suo vice presidente in odore di cattive amicizie, invoca prudenza dal governo e Assemblea, e suggerisce saggiamente il recepimento della normativa nazionale in Sicilia. Appena approvata dal Consiglio dei Ministri, ha ricevuto il placet generale, ed è considerata dall’Anac, l’Anticorruzione, un salto di qualità sia per i controlli quanto per la semplificazione. Ci sono linee guida, bandi e contratti che renderebbero accessibili, finalmente, le nuove norme alle stazioni appaltanti, abbattendo la paratia stagna che ha bloccato gli appalti.

La normativa nazionale (che nel tempo ha subito 62 modifiche), accorcia significativamente il numero delle prescrizioni, che passano da 660 a 217, che è un buon indizio, favorisce le amministrazioni virtuose, che verranno dotate di un bollino di buona condotta, cancella la legge obiettivo che prevede una diversità di trattamento per le grandi opere, regala poteri di sanzione e di linee guida all’Anticorruzione, e concede a Palazzo Chigi la cabina di regia per le politiche sugli appalti (un coordinamento centrale).

Sarà dura da digerire, ma quei 14 anni e sei mesi che mediamente ci vogliono per iniziare i lavori di un’opera pubblica, sono ancora più duri di sopportare. L’Ance nazionale, infatti, è soddisfatta, Cantone, per l’Anac, pure, e non si sono levati dissensi finora. Anche Crocetta si è affrettato a dare la sua benedizione. “In Sicilia – auspica il governatore – deve essere adottata la legislazione nazionale sulle posizioni del ministro Delrio”.

Il crollo degli investimenti nell’edilizia pubblica fa paura. In più, la scelta dell’offerta più vantaggiosa spazza via le anomalie, la complessità, le furbizie e, per quanto riguarda la Sicilia, la presunta mafiosità delle norme.

Fonte: sito web siciliainformazioni.com